Cosa fare quando, nel rapporto padre figlio, la figura del padre è così incombente da schiacciare l’identità del figlio?
Nel film Un ragazzo d’oro, il regista Pupi Avati ci presenta il rapporto tra un padre e il figlio in cui l’amore dell’uno per l’altro diventa un limite alla crescita personale anziché una risorsa.
Il film
Davide (interpretato da Riccardo Scamarcio) è un giovane pubblicitario, insoddisfatto ed inquieto, con il sogno di scrivere un giorno qualcosa di bello.
La morte improvvisa del padre, sceneggiatore di film, gli offre l’occasione di realizzare un suo sogno: scrivere un libro autobiografico.
Un’editrice (Sharon Stone) è interessata a pubblicare quel libro e Davide allora, ad insaputa di tutti, lasciando intendere che sia il libro di suo padre, decide di scriverlo lui.
Il giovane ha paura e più volte, guardando la foto del padre, lo invocherà chiedendogli aiuto e dicendo che “insieme” potranno farlo.
L’opera si farà. Ma perché non è stato possibile realizzarla prima della morte del padre? E, soprattutto, che costi avrà per Davide questo processo di affermazione di sé? Come spesso accade nelle nostre vite, il rapporto tra padre e figlio è un rapporto di odio e amore.
Il padre insoddisfatto
Un padre, insoddisfatto anche lui di se stesso, pur amando il figlio ha difficoltà ad esprimergli amore e a consentire la sua crescita come uomo differente da lui.
Genitori in conflitto con i propri desideri, con aspettative su di sé, possono provare una vera e propria invidia nei confronti di un figlio che ha le potenzialità per realizzare ciò che essi desiderano.
L’invidia è un sentimento di rabbia verso se stessi e verso l’altro, e, seppure in modo problematico, può costituire una forma di legame.
L’identificazione nel rapporto padre figlio
Un bambino, maschio o femmina, per poter crescere e sviluppare una propria personalità ha bisogno di identificarsi, per poi individuarsi, con la figura genitoriale dello stesso sesso. Identificarsi con un genitore arrabbiato con noi è estremamente problematico.
Davide infatti idealizza il padre, perché questo è l’unico modo di difendersi dalla sua rabbia. Vivere un’idealizzazione per il padre anche in età adulta porta ad un impoverimento di sé e ciò alimenta un sentimento di rabbia verso se stessi e verso il genitore.
Davide tenta di avere una vita affettiva propria, ma fallisce. Qualunque tentativo di affermazione di sé fallisce.
Perché affermarsi significherebbe “uccidere” quel padre e se perdiamo la persona idealizzata rischiamo di non sapere più chi siamo.
Morte simbolica del genitore
La condizione che può far mutare la forma di questo legame tra padre e figlio è la morte simbolica del genitore.
Solo con la separazione, con la lontananza, spesso è possibile placare rabbie, parti distruttive di sè e far emergere sentimenti di amore.
Nel film il padre muore realmente, ma ciò non genera una separazione psichica del figlio. Il ragazzo dopo la morte del padre esprimerà tutto il suo amore per lui, mantenuto represso fino a quel momento, ma lo farà cercando di assumere le sembianze fisiche del padre e qualcuno addirittura lo scambierà per lui.
Il regista dunque sembra porci un’ ulteriore domanda: ma l’odio e l’amore vissuti in modo così invadente nella nostra vita, sono facce della stessa medaglia? Forse sì.
Scamarcio compie l’opera, ma finisce in manicomio. Con Lacan ricordiamo che “l’eredità più grande che possiamo lasciare ai nostri figli è la capacità di desiderare”… cioè di essere liberi.