Il mio approccio

Psicologa Roma: primo piano della dott.ssa Mariateresa Grasso, psicoterapeuta

Ho un approccio psicoterapeutico ad orientamento psicoanalitico e psicosociale.

La fase iniziale del lavoro è la fase di esplorazione della difficoltà. A partire da questa si costruisce un progetto di lavoro con la persona, si definiscono gli obiettivi che si vogliono perseguire. La durata del lavoro è strettamente connessa agli obiettivi ed alla verifica degli obiettivi stessi.

Il metodo di lavoro che utilizzo si basa sul Modello di teoria della tecnica dell’Analisi della Domanda (Carli, Paniccia 2003).

I percorsi psicoterapeutici si definiscono “soggettivi” perché sono costruiti sulla specifica persona e con la specifica persona, sono lavori potremmo dire “sartoriali”.

Il benessere della persona, l’essere sollevati dalla sofferenza individuale sono finalità fondamentali e lo sono per tutte le persone che iniziano un lavoro psicoterapeutico. Gli obiettivi non possono essere uguali per tutti e non si possono stabilire “a priori”.

Lo scopo della psicoterapia

L’intento della psicoterapia è facilitare un pensiero sui problemi portati dalla persona per individuare le sue specifiche risorse e le specifiche linee di sviluppo volte al “superamento” dei problemi, a partire, ripetiamo, dalle emozioni che la persona vive nei suoi contesti di vita e nella relazione terapeutica con lo psicologo.

So che la parola “pensiero” è una parola che spesso provoca fastidio in chi la ascolta. Molte persone, dicono che il pensiero è qualcosa di teorico, mentre i problemi che vivono sono qualcosa di “concreto”, di reale. Ma, questo è un inganno che facciamo a noi stessi! Avere un pensiero nuovo sulle nostre difficoltà, sui nostri problemi, sulle nostre sofferenze significa avere soluzioni nuove, “concrete”, perché significa avere nuovi strumenti per affrontare ciò che ci affligge o ci affatica da tempo.

Soltanto parlando?

Strumenti nuovi, soluzioni nuove e diverse, addirittura soltanto parlando? E, oltretutto parlando con una persona estranea?!

Sì!

Sul potere della parola ci viene in aiuto Freud, che in “Introduzione alla Psicoanalisi” descrive così il potere terapeutico della parola: “…originariamente le parole erano magie e ancora oggi la parola ha conservato molto del suo antico valore magico. Con le parole un uomo può rendere felice un altro o spingerlo alla disperazione, con le parole l’insegnante trasmette il suo sapere agli allievi, con le parole l’oratore trascina con sé l’uditorio e ne determina i giudizi e le decisioni. Le parole suscitano affetti e sono il mezzo comune con il quale gli uomini si influenzano tra loro.”

Perché con un estraneo?

Sulla necessità che lo psicologo sia una persona estranea, è importante una riflessione.

Spesso le persone si chiedono: “Perché dovrei parlare delle mie cose personali ad un estraneo?”, oppure dicono: “Se devo parlare con qualcuno, parlo con un amico!”

L’essere estranei, psicologo e paziente, è uno strumento di lavoro perché consente di costruire uno spazio in cui le emozioni che emergono, sia del paziente che dello psicologo, possono essere utilizzate dallo psicologo al totale servizio della persona che si rivolge a lui.

Ma ciò è possibile solo se lo psicologo non ha aspettative sul paziente, aspettative affettive, comportamentali, relazionali. Una persona amica è una persona coinvolta affettivamente con noi, ci vuole bene, dunque sì vuole il nostro bene, ma proprio per questo non può non avere aspettative su di noi.

La capacità di lavorare con le emozioni e sulle emozioni è competenza clinica, che richiede una professionalità specifica e specialistica, qual è quella dello psicologo.

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